sabato 18 febbraio 2012

La condizione del malato

Gli studi suggeriscono che l'esperienza di ammalarsi,di diventare un malato,si tratta di un'esperienza difficile, perché alla malattia in sé si aggiungono disagi legati alla condizione sociale e psicologica del malato nelle nostre civiltà.La malattia non è un evento qualsiasi,perché introduce nella vita di chi si ammala cambiamenti significativi.
Lo status del malato

Il cambiamento legato alla malattia può essere analizzato in termini di status e ruoli. Esiste lo status del malato così come esiste lo status di medico, d’insegnante, di genitore o di figlio. E’ stato un sociologo americano, Talcott Parsons, all’inizio degli anni ‘50, col suo noto studio sul ruolo del medico e del paziente, ad attirare l’attenzione su una realtà rimasta fino ad all'ora inavvertita: lo status del malato. Per Parsons, quella del malato non è una situazione soggettiva ma un vero status sociale da intendere come posizione riconosciuta di un individuo nel proprio gruppo. Non appena un individuo si ammala, gli altri cominciano a trattarlo come si trattano i malati ed egli stesso comincia a considerarsi tale, cioè ad essere un "paziente". Nel caso di malattie gravi o di ospedalizzazione lo status del malato può comportare una rottura profonda col passato e con l’esperienza quotidiana abituale e richiedere sia una ridefinizione della propria personalità che una risocializzazione: la persona deve abbandonare in tutto o in parte le vecchie competenze sociali per darsene di nuove. Parsons ha individuato due tratti fondamentali dello status del malato:
Primo: l’esonero dagli impegni.
Secondo: la dipendenza dalla struttura sanitaria.

L’esonero
La condizione del malato è una specie di sospensione dell’impegno sociale che dura finché dura la malattia. Chi è malato è dispensato dal lavoro o dallo studio. Ma, attenzione, l’esonero non è una concessione, è un’imposizione, un obbligo. Esso ha carattere ambivalente in quanto presenta risvolti positivi e negativi. Da una parte offre al paziente un’area protetta che gli assicura il vantaggio di sottrarsi allo stress della vita quotidiana e di godere d’indulgenza e comprensione, dall’altra, invece, l’imposizione dell’esonero determina l’esclusione dalla vita sociale e dai vantaggi ad essa collegati e genera una posizione d’inferiorità rispetto a chi sta bene. Il malato diviene a tutti gli effetti un emarginato. Gl’interessi, gli impegni, le abitudini, i ritmi precedenti vengono abbandonati per entrare nella routine della vita del paziente ospedaliero. Lo sradicamento dalla vita quotidiana conduce il malato ad un ripiegamento su se stesso e ad un’attenzione autofocalizzata che, tra le varie conseguenze, produce la tendenza ad esagerare la portata delle sensazioni momentanee e a formarsi idee pessimistiche e distorte sul proprio conto.E’ dimostrato che un malato che non sia psicologicamente fragile non va protetto ma immerso nell’esperienza e tenuto in un flusso vivace di comunicazione.
La condizione del malato è una specie di sospensione dell’impegno sociale che dura finché dura la malattia. L’esonero non è una concessione, è un’imposizione, un obbligo.Esso presenta risvolti positivi e negativi. Da una parte offre al paziente un’area protetta che gli assicura il vantaggio di sottrarsi allo stress della vita quotidiana e di godere d’indulgenza e comprensione, dall’altra, invece, l’imposizione dell’esonero determina l’esclusione dalla vita sociale e dai vantaggi ad essa collegati e genera una posizione d’inferiorità rispetto a chi sta bene. Il malato diviene a tutti gli effetti un emarginato. Gli interessi, gli impegni, le abitudini, i ritmi precedenti vengono abbandonati per entrare nella routine della vita del paziente ospedaliero.  
La dipendenza
Ammalarsi comporta il passaggio dall'indipendenza alla dipendenza. La dipendenza presenta una serie di aspetti positivi ma soprattutto negativi. Comporta il grosso vantaggio di creare degli intermediari tra il paziente e la malattia.Il paziente non deve controllare da sé l’ansia che gli procura il fatto di esser malato, ma può rimettere il problema a chi lo cura, fidandosi delle sue dichiarazioni. L’altra faccia della dipendenza è lo stato di limitazione della libertà, di soggezione, inferiorità e a volte impotenza in cui finisce il paziente. E’ evidente che negli ospedali c’è una netta separazione tra personale e ricoverati basata su un divario di libertà e potere. I sanitari, si spostano liberamente, mentre i ricoverati hanno uno spazio assegnato dove stare. Il tempo come lo spazio è gestito dal personale. Le decisioni sono prese senza coinvolgere i pazienti. La "finta" malattia  
Essere dispensati dagli obblighi sociali e produttivi offre al paziente un rifugio,un'area protetta dove sottrarsi allo stress della vita sociale e soprattutto godere dei vantaggi della comprensione e dell'indulgenza degli altri.La protezione assicurata dallo status di malato è tale che si può usare la malattia o fingere di essere malati per manipolare gli altri e le circostanze a proprio vantaggio.Ad esempio, in epoca vittoriana il deliquio o l'emicrania servivano alle donne per sottrarsi agli impegni imposti da una vita sociale imperniata sulla produttività e su una rigida morale,che le vedeva in posizione di inferiorità.Oggi si ricorre anche al malessere psicologico,oltre a fisico,in conseguenza dei cambiamenti intervenuti nell'espressione somatica e psichica dei disturbi.     
La condizione dell'ospedalizzato 
Le categorie di Parsons si rivelano efficaci finché si considerano i malati meno gravi e trattati a domicilio.La condizione dell'ospedalizzato però non si comprende pienamente in termini di esonero e di dipendenza,perché è più complessa e anche più dura.Rappresenta lo status di malato portato all'estremo.Innanzitutto c'è uno sradicamento dalla vita quotidiana.Gli interessi,gli impegni,le abitudini,i ritmi precedenti vengono abbandonati per entrare nella routine della vita del paziente ospedaliero.Il taglio con il mondo quotidiano c'è anche per un isolamento in cui i ricoverati vivono. C'è poi lo stato di soggezione,di perdita di potere e di sottomissione in cui,il ricoverato viene gettato.Quando lo sradicamento dalla vita quotidiana e l'assoggettamento del ricoverato sono marcati,l'ospedale diventa una istituzione totale.Secondo E. Goffman,che,alla luce del suo lavoro di osservazione partecipante nell'ospedale di St. Elisabeths,a Washington,ha introdotto il termine e il concetto,un'istituzione totale ha alcune caratteristiche che la contraddistinguono.L'istituzione totale trova una compiuta realizzazione nei manicomi.Quello di St. Elisabeths studiato da Goffman era un enorme ospedale psichiatrico.Tuttavia aspetti di istituzione totale sono presenti anche negli ospedali generali.Molto dipende da come è organizzato l'ospedale,da come si comporta il personale e da come l'istituzionalizzazione viene vissuta dai ricoverati e dal tempo che questi trascorrono in ospedale.Quando il lato di istituzione totale fa sentire il suo peso,l'effetto è una perdita di identità degli individui,una profonda spersonalizzazione. E' necessario ripensare seriamente l'assetto della nostra civiltà in rapporto alla malattia e alla salute.Questo significa studiare sempre più attentamente la condizione psicologica e sociale del malato e dedicare sempre più spazio a interventi tesi a migliorare la qualità della vita di chi sta male.